di Rodolfo Andrei
Tutti in paese la chiamavano Bianca, ma il suo vero nome era Adele. Erano i primi anni ‘40, così incerti per tutto il popolo italiano, ma Bianca, riusciva ad affrontarli sempre con il sorriso tra le labbra. Con la sua amata bicicletta “Bianchi Campagnolo” tutti i giorni, appena terminata la scuola, andava da zia Lisetta al podere delle Casalte, costretta a letto da tempo. Bianca adorava molto fare quel percorso: appena uscita da Chianciano Terme si immetteva nella strada del Cavernano, oltrepassava Poggio Faloppo, affrontava il salitone di Fontecornino e, poco dopo, si trovava difronte alla vecchia fattoria di zia Lisetta. Dopo aver varcato il cancello del podere il cane Spicchio le andava incontro scodinzolando a più non posso per la contentezza. Quello spicchio di pelo bianco che risaltava prepotente su un manto nero lucente la faceva impazzire dalla felicità.
Sulla via del ritorno prima di scendere per via Solferino transitava davanti al palazzo Comunale del paese, da mesi occupato dalle forze armate Tedesche e delegato a quartier Generale di zona. Negli ultimi tempi per Bianca il passaggio davanti a quell’edificio era diventato più piacevole; la giovane sentinella tedesca, posizionata all’ingresso principale recapitava alla ragazza un sorriso folgorante.
Dalla fine del 1942, con l’avanzare delle truppe Angloamericane provenienti dal meridione, i comandi tedeschi avevano collocato in tutta la Val d’Orcia alcuni battaglioni a difesa dei vari confini per coprirsi le spalle dalle possibili incursioni degli alleati.
In un pomeriggio di fine agosto, arrivata davanti al Municipio, l’ultima pedalata fece saltare la catena della bicicletta di Bianca, che di colpo si bloccò.
”Tutto a posto, signorina?”. Chiese la sentinella di guardia.
Bianca alzò la testa e, mentre raccoglieva da terra gli ultimi libri e alcune noci cadute dal cestello, notò quella sentinella dal dolce sorriso. Era la prima volta che sentiva la sua voce e, anche se il suo italiano era piuttosto incerto, il sentirlo le fece ugualmente piacere.
”Tutto a posto grazie, non è nulla”.
Rispose lei mentre, in ginocchio, raccoglieva le ultime cose.
“Buone queste frutte, anche da noi in Germania essere. Come si chiama in Italia?”
“Noci, si chiamano noci, me le ha date mia zia Lisetta”.
Rispose Bianca, offrendogliene un paio.
“Grazie, mio nome Bose, grazie”.
“Io sono Bianca”, disse lei mentre si congedava, lanciando al soldato un tenero sorriso di riconoscenza.
Nei giorni successivi Bianca continuò a passare davanti al Comune e, quasi per incanto, la bici rallentava, mentre un paio di noci balzavano improvvisamente fuori dal cestello per finire poi tra le mani del biondo soldato tedesco.
Bianca non aveva più parlato con Bose da quel giorno di fine agosto. Di lui conosceva solo il nome e quel caldo sorriso, poche cose che le avevano però restituito un po’ di coraggio e di speranza in quel clima di guerra e di tensione.
Poi una mattina al ritorno da scuola, Bianca notò un’anomala agitazione che invadeva tutta la piazza; soldati armati scendevano da alcuni camion militari, mentre davanti al portone del palazzo del Comune era stato posizionato un reticolato di ferro e quattro militari armati stazionavano impalati poco distanti.
Nel frattempo a casa di Bianca il padre stava organizzando la partenza dei due figli maschi, raccomandando loro di dirigersi velocemente verso le grotte della Parcia, proprio sotto Sant’Albino, e di rimanere lì nascosti fino a nuovi ordini.
Era appena passato l’8 settembre e l’armistizio aveva creato un clima di guerra ancora più violento di quello vissuto fino ad allora. Una sera, subito dopo cena, mentre Bianca stava aiutando la madre a rassettare la cucina, si sentirono alcuni leggeri tocchi alla porta di casa. Il padre, appoggiato con la testa sul tavolo, aprì subito gli occhi svegliandosi da quel dormiveglia che lo aveva abbracciato fino ad allora. Le due donne, dopo aver posato i piatti ancora sporchi sul tavolo, si strinsero forte l’un l’altra, subito dopo la porta si aprì e fecero capolino i riccioli scuri di Francesco, cugino di Bianca.
“Checco, cosa ci fai qui? E’ pericoloso”.
Disse la madre di Bianca sorpresa alla vista del nipote.
Checco era sceso in paese dalle grotte della Parcia proprio per poter incontrare Bianca.
“Ho poco tempo Bianca. Abbiamo bisogno di te e della tua bicicletta per portare i viveri, e non solo, a chi è nascosto lassù nella macchia.”
”No”. Disse immediatamente la madre, stringendo Bianca più forte a sé.
“Non se ne parla nemmeno, è ancora una ragazzina, non se ne parla e basta”.
“Tu sei l’unica” – continuò Checco – “Sei l’unica che ha la possibilità di passare oltre i posti di blocco di Poggio Faloppo. In fin dei conti è da tempo che vai da zia Lisetta, i nostri compagni partigiani sono nascosti poco più avanti”.
Un gelido silenzio invase la stanza.
“Con la scusa del cibo dovresti portare alcuni dispacci per tenere in collegamento le brigate di Montepulciano con quelle di Chiusi”, continuò Checco stringendo con forza la mano di Bianca.
Bianca fece un cenno di assenso con la testa, mentre la madre piangendo a dirotto andò a chiudersi in camera. Checco abbracciò affettuosamente a sé Bianca, dandole un dolce bacio sulla guancia:
“Domani qualcuno ti darà istruzioni, e ti farà sapere il posto preciso dell’appuntamento”.
La porta si richiuse dolcemente e nell’oscurità più completa i riccioli neri di Checco andarono nuovamente a mescolarsi con il fitto buio della notte.
Il pomeriggio seguente appena uscita da scuola Bianca ebbe le istruzioni esatte, nel cestello qualche pezzo di pane e qualche frutta, mentre alcuni minuscoli foglietti erano stati nascosti all’interno della canna centrale della bicicletta. Imboccò come al solito via Solferino per poi uscire da Porta Rivellini, e fino a quel punto non trovò sbarramenti alcuni, ma arrivata all’altezza di Poggio Faloppo una camionetta tedesca era posizionata nel mezzo della strada, mentre due soldati con elmetto e fucile facevano da spalla al mezzo. Il braccio di uno dei militari si alzò con vigore.
“Alt, alt. Dove andare, bambina?”.
Bianca si bloccò proprio davanti a lui e, alzando la testa, notò l’altro soldato poco distante che immobile e silenzioso si asciugava la fronte dal sudore. Lo guardò meglio, era Bose. I loro sguardi silenziosamente si incrociarono.
”Vado da mia zia a portarle da mangiare, abita nel podere delle Casalte, è inferma da mesi e non si può alzare dal letto”.
Il soldato si avvicinò alla bicicletta riflettendo su quello che aveva detto Bianca.
“Quindi vai da tua zia malata, che si trova qui vicino? Bene, vengo anche io con te e ti accompagno”.
Bianca rimase pietrificata, e fu in quel preciso momento che Bose, appoggiando una mano sulla spalla del compagno esclamò:
“Stai tranquillo Huter, dice la verità, conosco la ragazza, fa questa strada con la bicicletta tutti i giorni, è ben allenata lei”.
Bianca guardò Bose, capì subito che quel soldato dagli occhi di ghiaccio aveva intuito senza ombra di dubbio che la zia Lisetta non sarebbe stata la sola a partecipare a quel pranzo.
La grossa quercia posta sul ciglio della seconda curva dopo il podere delle Casalte era il luogo stabilito per la consegna; Bianca si fermò in quel punto preciso. Un attimo dopo sentì un leggero fischio e, girandosi di scatto, vide Checco nascosto da una frasca che, allungando la mano, prese il pacco con le cibarie e i foglietti, per poi allontanarsi rapidamente e inoltrarsi di nuovo nella boscaglia.
“Grazie Bianca, a nome di tutti noi”. Sussurrò Checco con un sorriso.
Nei giorni seguenti più volte bianca riuscì a passare oltre lo sbarramento di Poggio Faloppo, riuscendo così a dare il suo personale contributo alla causa partigiana.
Nelle ultime settimane già molti mezzi armati e molti soldati tedeschi avevano lasciato quelle vallate toscane, ma quella mattina il via vai che invadeva il paese era davvero impressionante. Dalla piazza del Comune una miriade di automezzi si stava incolonnando per uscire fuori dal centro abitato e, lasciandosi alle spalle la storica Villa Simoneschi, si inerpicava lungo le tortuose curve che portavano verso Montepulciano.
Anche Bianca, appoggiata alla sua bicicletta, guardava curiosa il passaggio di quell’Armata Tedesca ormai allo sbando, nella speranza di rivedere per l’ultima volta quell’amabile sorriso. Poi, come per incanto, da sotto l’elmetto grigio spuntarono gli occhi azzurri di Bose. I loro sguardi si incrociarono e un complice taciturno sorriso abbracciò dolcemente le loro labbra, mentre il biondo tedesco tirò fuori dalla tasca una piccola noce, facendola intravedere con piacere a Bianca. La ragazza sentì il cuore fermarsi per un attimo, non immaginava assolutamente che Bose avesse ancora con sé quel frutto, mentre una lacrima le scendeva silenziosa e furtiva sul viso.
Ormai sono passati più di settant’anni da allora, e quel periodo così brutto è alle spalle.
Per tutto il paese di Chianciano Terme Adele è ancora la piccola Bianca, mentre la vecchia bicicletta Bianchi Campagnolo, ormai arrugginita e corrosa dal tempo, riposa beatamente nel garage sotto l’abitazione dell’anziana donna.
Ogni 25 aprile la banda musicale inonda le vie e le piazze del piccolo paese toscano con quelle note di libertà che furono riguadagnate dopo tanti sacrifici e sofferenze.
Bianca, felice di essere stata anche lei partecipe di questa sudata e meritata riconquista, è consapevole da sempre che la Libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare e, seduta in cucina, ascolta incantata quella musica quasi celestiale, salutando dalla finestra il passaggio dei suonatori con un fazzoletto tricolore in mano e guardando con infinito piacere l’immancabile cestino di noci sistemato al centro della tavola.
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meravigliosalmente favoloso
Uno dei più bei racconti di Rodolfo, con “La Noce” si va sul sicuro… 🙂
Bellissimo e toccante racconto. Scritto bene. Entri direttamente nella storia. Assolutamente puntuali le descrizioni della Toscana.
“Selezione Lettore Gagliardo”
Ad uno stile semplice e genuino è stato affidato il compito di raccontare un pezzo importante di storia. Delicato, coraggioso, intenso.
Selezione lettori Gagliardi. Questo breve racconto storico parla dell’Italia e di buoni sentimenti. Di una bambina che in una grande situazione storica ha fatto il suo meglio ed ha aiutato il suo popolo. Bianca rappresenta tutti noi e ci commuove.