di Rosalia Alberghina
Il cielo era una tavolozza di macchie grigie, bianche e rosa. Guardai il tramonto come se lo vedessi per la prima volta. Mentre camminavo vidi una donna che sul marciapiede di fronte, in prossimità di un lampione si voltò verso di me e un brivido mi percorse la schiena.
Le palpebre erano appesantite dagli anni, i capelli canuti, ma il profilo dritto, la curva del mento erano gli stessi. Avrei riconosciuto quel volto segnato dal tempo tra mille: era il mio invecchiato di almeno 40 anni.
La raggiunsi, mentre lei placida rimaneva lì ad attendermi.
“Sei un fantasma?”
“No, sono il tempo che passa. Così come tu lo immagini. Hai trascorso un’intera vita a cercare di essere come gli altri ti volevano. Figlia, moglie, mamma e professionista che tutti si aspettavano che fossi” spiegò con un’espressione accigliata.
“Sei… siamo state infelici?” domandai con voce tremante.
“No, però hai avuto tanti rimpianti. Non ti sei accorta che il tempo passava inesorabile”.
Una lacrima rigò il volto rugoso. “Dai più valore al nostro tempo”. E scomparve.
Aprii il pugno chiuso che avevo serrato per la tensione e trovai una piccola clessidra: la sabbia scendeva giù ma era ancora a metà. La fissai e sorrisi.
***
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