di Rosanna Boaga
«Angelo Nataniele a rapporto! Signore, ho bisogno di aiuto.»
Il Signore annuì al suo angelo, alzò la mano e apparve una sfera trasparente sopra il suo palmo aperto. In centro, come un ologramma, si vedeva un giovane che camminava per una strada buia.
«Sono preoccupato, – disse Nataniele – entro fine anno Matteo deve lasciare l’appartamento perché non riesce più a pagare l’affitto. Non sa dove andare, non ha lavoro né famiglia, si sente solo e disperato.»
«Deve resistere, le cose stanno per cambiare.»
«Purtroppo temo che non voglia aspettare. Non vuole passare l’ennesimo Natale da solo.»
Il Signore con l’altra mano fece un gesto e apparve un’altra immagine nella sfera: una sagoma lucente a forma di uomo, avvolta da un fumo nero che la macchiava quasi del tutto di scuro.
«Dobbiamo fare qualcosa, Nataniele, subito.»
«Io le ho provate tutte, Signore. Ti ho portato la lettera che ha scritto prima di uscire, poco fa.»
Nataniele allungò una carta al suo capo, che la prese senza guardarla.
«Lo so, vuole uccidersi. Prenderà la macchina per fare un incidente. Lo avremo perso per sempre.»
Il Signore fece un altro gesto con la mano e apparve un’altra sfera, dove si vedeva un’auto sfrecciare nel buio e finire dritta verso un muro. Come al rallentatore, Nataniele vide la macchina accartocciarsi e esplodere. Un’ombra nera sgusciò via da lì e scappò urlando nella notte.
L’angelo abbassò la testa e si asciugò una lacrima. Lui non aveva la possibilità di vedere il futuro e, ogni volta che non riusciva a salvare il suo umano, gli si straziava il cuore.
Dio scacciò con la mano la sfera del futuro e sorrise al suo angelo.
«Siamo ancora in tempo Nataniele, abbi fede. Ora torna da lui, stagli vicino.»
Poi giunse le mani e le immagini sparirono. Anche Nataniele sparì e il Signore si lisciò la barba con la mano e guardò giù: eccola là, la ragazza che poteva rendere felice Matteo. Dovevano incontrarsi tra qualche settimana, ma quello era un caso di emergenza. Dio annuì tra sé: sì, poteva funzionare, se Matteo avesse aperto il suo cuore appena un poco, era fatta.
Erano circa le sei del pomeriggio del 23 dicembre, quando Matteo raggiunse la sua auto con rabbiosa fretta. Saltò dentro e imprecò contro il freddo, contro il vento, contro il mondo. Era stufo di tutto. Avrebbe guidato un’ultima volta e poi, poi bastava chiudere gli occhi e sarebbe finito tutto. La lettera di addio l’aveva lasciata in bella mostra, sul tavolo della cucina. Nataniele si sedette al posto del passeggero con l’aria afflitta, pronto al peggio.
Matteo accese il motore e imboccò la strada consapevole solo della cupa decisione che aveva nella mente, ma presto la rabbia si dissolse e lasciò il posto ad una profonda tristezza.
A un tratto, però, Matteo si accorse che davanti a lui un’auto era ferma nel centro della carreggiata, aspettando di girare a sinistra. Inchiodò d’istinto e la sua macchina si arrestò con un sobbalzo. Sentì un botto dietro di lui e venne scaraventato in avanti, addosso al volante. Si raddrizzò imprecando, la macchina si era spenta senza toccare l’auto di fronte. Riaccese il motore per andare a parcheggiare nello spiazzo a fianco. Nataniele si coprì le orecchie con le mani, per non sentire il fiume di parolacce e imprecazioni che sciorinò Matteo, mentre fermava la macchina. L’auto che l’aveva tamponato lo seguì e ne uscì una ragazza con l’aria stravolta, che si precipitò verso di lui. Matteo aprì la portiera e quasi non riuscì a smontare dall’irruenza della giovane.
«Oh Dio, mi scusi, mi scusi, sta bene?»
Matteo la guardò appena, uscì dalla sua auto e si aggrappò alla portiera con forza. Gli girava un po’ la testa. Lei intanto era andata a guardare il retro della macchina.
«Mi dispiace tanto, mi dispiace tanto!» gridò.
Matteo la imitò e vide che il portellone aveva una rientranza storta, ma nulla di grave. La macchina della ragazza invece aveva il radiatore mezzo rotto.
«Accidenti, non ci voleva, adesso come faccio, proprio oggi doveva capitarmi.» mormorava la ragazza con le mani sulla faccia. Matteo reagì al suo torpore.
«Non si preoccupi, adesso facciamo la constatazione amichevole.»
«Sì, certo, mi scusi, oh farò tardi anche stavolta, Samuel tra poco sarà fuori in strada.»
Matteo estrasse le carte dal cassettino vicino al posto di guida e si appoggiò sul cofano.
«Il suo fidanzato l’aspetterà, lo chiami pure se è in ritardo.»
«No, io non… Samuel è mio figlio, ha sette anni, sta per uscire dall’allenamento di calcio.»
Matteo non commentò e compilò in silenzio i suoi dati, poi spinse verso di lei il modulo e la penna; la ragazza scrisse veloce i dati che doveva inserire.
«Mi scusi devo proprio andare, devo andare!»
Mollò tutto e si fiondò al posto di guida della sua auto, girò la chiave di accensione, ma rispose solo un singulto del motore. Riprovò, ancora un brutto rumore sordo. Matteo la guardava dall’esterno del finestrino. Lei fece un grosso respiro per calmarsi e girò ancora la chiave. Il motore restò in silenzio. La ragazza cominciò a picchiare i palmi aperti sul volante, due, tre, quattro volte. Poi si coprì il viso con le mani e cominciò a singhiozzare.
Nataniele si voltò subito verso Matteo e gli sussurrò: “Aiutala, ha bisogno di te!”
Il Signore apparve vicino a Nataniele, aveva la sfera dell’anima di Matteo aperta sopra l’altro palmo: la sagoma ormai era quasi interamente nera.
L’angelo e il Signore trattennero il respiro, in attesa. Matteo era incerto.
Ad un tratto una piccola luce si accese sulla sagoma della sua anima e si allargò all’altezza del petto, il giovane addolcì lo sguardo e aprì la portiera dell’auto della ragazza.
«Ehi, non piangere. Non parte? Posso provare?»
Lei arrossì e si asciugò le guance.
«Scusa, mi dispiace. Non ne combino una giusta. Sì, prova tu, grazie.»
Matteo la fece scendere, poi si sedette al volante e provò un paio di volte a mettere in moto il motore.
«Non va. Dev’essersi rotto qualcosa.»
La ragazza ricominciò a piangere e Matteo scese dall’auto.
«Non fare così, adesso chiamiamo il carro attrezzi.»
«No, è che devo andare, come faccio? Samuel sarà già fuori dal cancello. Scusami, sei stato così gentile. Vai pure, ti staranno aspettando. Io me la caverò in qualche modo.»
Matteo pensò che, in realtà, non c’era proprio nessuno che lo aspettava, a parte il suo destino.
Nataniele approfittò per sussurrargli che avrebbe potuto aiutare ancora quella ragazza, che non gli costava niente in fondo rimandare il suo tragico incidente a più tardi. Matteo sentì un brivido di vita attraversargli i muscoli e sorrise alla ragazza.
«La mia macchina è a posto, ti accompagno io a prendere tuo figlio.»
Nataniele e il Signore si guardarono con affetto: la sagoma nella sfera tornava sempre più a illuminarsi. Con un gesto, il Signore fece apparire anche la sfera del futuro, dove l’immagine dell’incidente cominciò a sfumare.
La ragazza intanto lo fissava stupita e incredula, asciugandosi le guance.
«Davvero? Io non so cosa dire… non vorrei disturbarti così tanto.»
«Dai, andiamo, sei già in ritardo no?»
Matteo salì nella sua auto e dopo un secondo arrivò anche lei.
Il giovane accese il motore e si concentrò sulla strada: dopo qualche minuto arrivarono al campetto di calcio del paese, già con il cancello chiuso, davanti al quale un bambino e un uomo stavano fuori ad aspettare. Matteo fermò la macchina e lei scese di corsa, andò subito verso i due e dopo qualche minuto tornò con Samuel. Nel frattempo Matteo aveva sbirciato il modulo dell’assicurazione: Elena, così si chiamava quella ragazza.
I due rimontarono in auto e Matteo li riportò indietro allo spiazzo dove era rimasta l’auto in panne.
«Ancora grazie – disse Elena quando scaricò il borsone di suo figlio – Adesso chiamo il carro attrezzi e poi ci faremo portare a casa.»
Nataniele sussurrò ancora all’orecchio di Matteo: “È così carina, non vuoi stare ancora un po’ con lei? Potresti accompagnarla tu a casa.”
Matteo decise subito di offrirsi e sulla sagoma della sua anima comparve qualche altra macchia di luce.
«Se vuoi aspetto con te, vi porto io a casa. Sempre se per te va bene.»
Lei rimase colpita da questa proposta, gli sorrise e accettò. Chiacchierarono con Samuel fino a quando arrivò il carro attrezzi e ogni cosa fu sistemata, poi Matteo li accompagnò fino a casa.
Una volta arrivati, gli parve naturale seguirli fino alla porta; la ragazza aprì e Samuel si infilò di corsa sparendo nel corridoio. Elena invece si volse sorridendo verso Matteo.
«Beh, grazie di tutto. Non so come avrei fatto senza di te».
Il giovane alzò le spalle per schermirsi.
«Non ho fatto niente di speciale.»
«Ti lascio andare, ormai è ora di cena, la tua famiglia ti starà aspettando.»
Matteo abbassò lo sguardo.
«Non ho più una famiglia. A dir la verità, non ho proprio nessuno.»
Il pensiero di quanto era deciso a fare ritornò vivido nella sua mente. Nataniele ebbe paura e guardò alle spalle di Elena, verso l’angelo della ragazza che assisteva alla scena. Si scambiarono un’occhiata d’intesa e questi si chinò sussurrando qualcosa all’orecchio di Elena, che reagì subito e arrossì.
«Oh. – disse – Allora… che ne diresti di fermarti a cena? Vorrei sdebitarmi con te.»
Matteo alzò la testa e sorrise sorpreso. Annuì felice e Elena si spostò per farlo entrare.
Nataniele si girò verso il Signore, che era rimasto al suo fianco tutto il tempo e ora guardava assorto la sfera del futuro. L’immagine dell’incidente sparì del tutto e si vide al suo posto Matteo che festeggiava il Natale a casa di Elena, con Samuel e i genitori della ragazza.
«Ce l’abbiamo fatta, figlio mio. – disse il Signore – Il padre di Elena troverà un lavoro a Matteo, è questione di giorni. Lei lo renderà felice, se lui continuerà a tenere aperto il suo cuore.»
L’angelo si commosse e il Signore lo abbracciò.
Matteo quella sera tornò a casa col cuore nuovo, trovò la lettera che aveva lasciato in cucina e la stracciò. Pensò a Elena e un largo sorriso gli comparve in volto.
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