di Alessandro Bottos
Tagliando i baclava prima di infornarli Miranda affondò la lama nel polpastrello, vicino all’unghia; di poco ma a sufficienza per cacciare un debole urlo acuto: “Ahmn!”.
Guardò il Signore nell’alto dei cieli e poi il tatuaggio all’avambraccio: infatti era come temeva, il pesce non solo aveva chiuso l’ombrello, l’aveva addirittura messo sotto pinna, dall’altra parte, quella non disegnata. Dell’ombrello si riusciva a vedere solo la punta e l’impugnatura, un po’ confusa coi labbroni del pesce, chiamato Gino. Gino interpretava l’umore e la realtà della Miranda-domani: alla proprietaria bastava guardarlo per capire quale sarebbe stato il proprio futuro prossimo.
Allontanò immediatamente le mani dal dolce e corse verso la cassetta dell’infermeria anche se non riuscì ad evitare che una goccia rossa rossa prendesse il volo, come in un Manga, e al rallentatore andasse inesorabilmente a finire sul grembiule di cucina.
Invece no.
La piccola perla rossa in movimento, dopo il primo tragitto governato dall’inerzia, si fermò a mezz’aria, palpitante, indecisa, forse in preda all’ansia: questo almeno parve sembrare a Miranda. In attesa di qualcosa, la goccia di sangue perfettamente sferica stette in sospensione; dopo aver guardato il pesce con l’ombrello, Miranda capì che sarebbe bastato accostare delicatamente il dito tagliato alla goccia per riassorbire la piccola perdita di vita e ripristinare il taglio.
Infatti ora il tatuaggio aveva l’occhio aperto a metà, in una espressione sorniona, incoraggiante, come un Popeye vincitore; e l’ombrello in vista, ancora chiuso.
Miranda intuì il suggerimento ed eseguì: con un lungo e delicato gesto portò la mano in aria, appoggiò l’unghia ferita alla perla rossa che si riassorbì immediatamente così da permetterle il ritorno in cucina, per tagliare i dolcetti prima di infornarli.
Tutto pronto; aprì, chiuse, buio. Luce, riaprì il forno, seguendo un montaggio cinematografico repentino che, secondo la volontà dello spettatore, taglia via i momenti meno importanti nella pellicola della vita e sforna subito il dolce, caldo caldo, per assaporarne o divorarne la felicità, facendo attenzione che non scotti.
Ma i baclava li devi sommergere nella bagna al limone e miele, finché la sfoglia ancora crepita; poi riporli in frigo ed attendere che si inzuppino bene bene.
La pazienza è un ingrediente prezioso e raro. Gino lo insegnava a Miranda fin dal tempo del proprio arrivo sul suo avambraccio, forgiato a ricordo della sua precedente natura. Infatti quando Paolo s’innamorò di Miranda non ci fu verso di fargli cambiare idea. Per più di tre anni insistette, di continuo; ogni volta che tornava da una notte di pesca in mare si fermava con la barca allo scoglio da cui aveva scorto Miranda fluttuare per la prima volta, tra le onde dell’Egeo, e sognava, anelava la comparsa della sua sirena, bruna, formosa, sensuale come nessun’altra creatura, con pazienza.
Oh, basta coi ricordi: c’è la piccola da crescere, di là. Doveva insegnarle la vita dei pesci e del mare, perché quella degli uomini era volontariamente ingiusta e penosa; doveva distoglierla da quella volontà.
Miranda vedeva bene la differenza tra la vita degli uomini e la vita del mare, possibile che fosse così invisibile agli occhi degli umani?
La consapevolezza del piccolo verso la vastità; l’assolutezza verso la relatività; l’egoismo verso la solidarietà; il prezzo delle cose da comprare verso il valore degli obiettivi da conquistare.
Gino sul braccio esultava ai pensieri di Miranda, ora volteggiando con l’ombrello come un Gene Kelly danzante sotto la pioggia: ma sempre con la compostezza di un tatuaggio, congelato in un fotogramma significativo nella gaiezza di una creatura di fantasia.
Proprio buono.
Ne prese una losanga, una di quelle irregolari che solitamente si staccano dai bordi con difficoltà, lasciando pezzettini scomposti. Preparò un piattino con due porzioni e insieme ad un bicchiere di tè alla menta lo portò alla sua piccola, di là a fare i compiti.
Liuba era ancora nell’età della non scelta, perciò non si poteva muovere in autonomia; mamma Miranda le aveva spiegato che un bel giorno tutti gli scherni dei compagni di scuola sarebbero scomparsi girando l’angolo. O superando l’onda. Doveva aspettare l’amore, il proprio grande amore per avvicinarsi all’una o all’altra natura e dimenticare la gabbia dei giudizi altrui.
Liuba spalancò gli occhi per la gratitudine e la golosità; Miranda baciò la piccola sulla testa e tutt’intorno i colori pastello diventarono colori primari, coprenti come tempera, non più tratteggiati a matita. Gino guizzava sull’avambraccio facendo perno sull’ombrello.
La vita infine richiede solo un po’ d’amore per acquistare profondità, colore, significato: tutte le arti lo dicono, basterebbe rimanere di più in ascolto.
Tornò soddisfatta in cucina e uscì sul balcone: voleva una pausa di libertà. Un leggero vento costante le teneva spostati i capelli sugli occhi, guardando il mare prese un gran respiro e si sporse oltre il poggiolo. Il pesce Gino salutò con la pinna, piccolo piccolo verso il proprio orizzonte, mentre il pomeriggio stava per essere vinto dal tramonto.
Miranda si lasciò andare nel vuoto, diventò una rondine e volò via. Sarebbe stata in giro per un po’.
Il suo disegnatore ne fu compiaciuto.
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