“Felice”

di Gabriella Paci

Mirella e Claudio avevano fatto di tutto per avere un bambino e, quando seppero che il loro sogno si sarebbe avverato, cominciarono a fare grandi preparativi per accogliere il figlio tanto desiderato.

Nulla sembrava loro eccessivo o addirittura inutile… Culla con dondolo a motore incorporato che suonava dolci ninna nanne, vestitini di firma di ogni possibile sfumatura di azzurro, pupazzi di gomma che si illuminavano al diminuire della luce, peluche a formare un piccolo zoo domestico con animaletti dal pelo morbidissimo, antiacaro, anallergico e delicatamente profumato, vaschetta per il bagnetto a forma di piccola nave, e…qui l’elenco potrebbe continuare per un bel po’, anche perché papà Claudio e mamma Mirella, essendo proprietari di una rinomata industria di oggetti di plastica, guadagnavano davvero molto.

La cameretta, o meglio lo spazio riservato al piccolo, era poi quasi un piccolo appartamento con un ampio terrazzo proiettato sul giardino circostante la loro villa situata in centro, ma dotata appunto di un grande parco che la isolava dalla strada e la proteggeva da sguardi curiosi.

Certo, i due stavano poco, anzi pochissimo, in casa, impegnati come erano a dirigere il loro lavoro, ma avevano da subito preso contatti con le più quotate e rinomate baby sitter che avrebbero insegnato le buone maniere e curato amorevolmente Felice. Il nome “Felice” era stato scelto proprio come augurio ad una vita piena di gioia e perché il bimbo aveva portato la felicità ai due genitori. La loro industria, tra l’altro, avrebbe avuto un degno erede.

In realtà sarebbe stato meglio apporre il prefisso -in- al nome Felice, poiché il bambino era cresciuto tutt’altro che felice… Nulla sembrava accontentarlo o dargli un briciolo di gioia: si stufava subito dei nuovi giocattoli che babbo e mamma gli facevano trovare ad ogni occasione. Disdegnava andare al mare con la tata, ascoltare le novelle che gli venivano lette, giocare a nascondino, a palla, a guardie e ladri, alla caccia al tesoro… insomma, a tutti quei giochi che costituiscono il divertimento dei ragazzini. Vero è che questi giochi venivano fatti quasi esclusivamente con le baby sitter di turno, poiché anche con gli altri bambini legava davvero poco, imponendo subito i suoi capricci e cambi repentini d’umore. Unica cosa che sembrava apprezzare (con i dovuti capricci ) era il cibo che consisteva spesso in leccornie prelibate e dolci buonissimi. Era pertanto diventato piuttosto cicciotto e si era impigrito, per cui anche a scuola, faceva fatica ad impegnarsi a stare attento e a studiare.

Frequentava la prima classe e mentre quasi tutti i compagni erano ansiosi di imparare a scrivere, lui sembrava non interessarsi né alla scrittura, né alle storie o ai giochi dei numeri. I genitori, per quanto poco presenti, si erano accorti che qualcosa non andava ed erano pertanto ricorsi allo psicologo per l’infanzia più prestigioso della città: troppe concessioni, mancanza di guida e di figure genitoriali, bisogno di attenzione ecc… tutte le motivazioni date alla sua mancanza di… voglia di vivere.

Ora poi, con la paura del covid, il problema si era ingigantito poiché Felice, tranne che quando doveva andare a scuola, veniva tenuto isolato dagli altri, per paura del contagio e inoltre, il clima di tristezza e di sospetto generalizzato, lo aveva fatto rinchiudere in se stesso ancora di più.

Si era oramai arrivati alle soglie del Natale e i genitori di Felice cercavano di trovare un briciolo di entusiasmo nel figlio, mostrandogli su internet giochi di nuova produzione, da fare con il game-boy o addobbi particolari con cui decorare la casa e la sua stanza da ordinare. Ma Felice, ragazzino infelice, sembrava indifferente a tutto.

Da circa un mese, tuttavia, aveva cominciato a fare amicizia con Pino, un compagno di classe, minuto e magrissimo, soprannominato “Grissino”. Questo ragazzino, quarto nato di una famiglia modesta, quasi sulle soglie della povertà, aveva, a differenza di Felice, una vitalità ed un’allegria fuori dal comune. Lui si stupiva di tutte le cose del mondo: un fiore, un profumo, un raggio di sole sbucato all’improvviso, una nuvola dalla strana forma. Tutto era per lui motivo di entusiasmo. E che dire di un dolce o di un dono improvviso?

Ora che si avvicinava Natale, Felice si chiedeva cosa desiderasse Pino da Babbo Natale e si stupì non poco sentendosi rispondere: “una spada”. Come – una spada – e basta??? Ma Pino scuoteva la testa ricciuta e rispondeva che la sua famiglia era povera e il babbo, ora, era perfino in cassa integrazione. E allora un dono per figlio era anche troppo. Lui, però, era convinto che era stato abbastanza bravo da meritarsela, la spada, anche se… chissà… forse Babbo Natale lo avrebbe dimenticato, con tanti bambini nel mondo da accontentare.

Felice era davvero sbalordito, ma non ci pensava più di tanto, sorprendendosi di quanto gli piacesse stare con Pino, che gli comunicava un senso di benessere e gli faceva vedere cose impensabili, come il nido dei passerotti, il pungitopo fiorito o il muschio sui tronchi degli alberi. Tutte queste cose lui, Felice, ce le aveva nel suo giardino, ma le scopriva con Pino per la prima volta. I suoi genitori, vedendo che la compagnia di Pino rallegrava il figlio, superando i loro dubbi e la ritrosia a far stare Felice con un ragazzino così “particolare”, cercavano di non ostacolare il loro rapporto, arrivando perfino ad invitare Pino nella villa. E’ chiaro, temevano che quel piccolo portasse il contagio del covid… ma se andavano insieme a scuola, con qualche precauzione, si poteva tentare di farli giocare insieme nel grande parco della villa.

Le vacanze di Natale fecero sì che i due si vedessero con regolarità e Felice sembrava riacquistare un po’ di vitalità, arrivando perfino…a giocare a nascondino e ai pirati insieme a Pino che, dal canto suo, godeva di merende stupefacenti, consistenti in morbidissimi panini farciti di prosciutto e formaggio o di fette di torte buonissime. Suo unico rammarico, che mai ebbe il coraggio di manifestare a Felice, il non poter condividere tanta delizia con i fratelli più grandi…

Ma l’orgoglio era tale che glielo impediva poiché come suo padre sempre diceva: ”noi abbiamo la dignità e questa non ha prezzo!”

Pino aveva capito che quella parola “dignità” voleva dire non piagnucolare se non hai qualcosa e non chiederla se non ti viene offerta. Almeno a chi non è di famiglia. Pino dunque cercava di nascondere un pezzetto di torta nel tovagliolo di carta, per farla assaggiare ai fratelli e dimostrare che non mentiva quando diceva di mangiare cose speciali.

Il giorno di Natale nella villa era stato allestito un sontuoso pranzo con ogni prelibatezza e Felice mangiava di tutto un po’ ingozzandosi ben bene. Non era stato soddisfatto dai doni ricevuti, perché non c’era una spada con cui avrebbe fatto un combattimento con Pino e di tutti i giochi nessuno lo entusiasmava più di tanto.

Aveva di tutto e il suo carattere lo portava a desiderare…no, non avrebbe saputo dire neppure lui che cosa.

Gli mancava… Pino, l’unico amico che era capace di tenergli testa distraendolo dai suoi mugugni con le sue frizzanti ed allegre risate e il suo entusiasmo per ogni piccola cosa. Lo chiamò dunque a casa sua e Pino arrivò con il visetto rosso e gli occhi festanti: aveva avuto in dono da Babbo Natale una spada che si illuminava con il movimento! Era un giocattolo da pochi euro, di quelle che si trovano nei market cinesi ma a lui sembrava meravigliosa e ne era orgoglioso.

Felice ne provò invidia e propose uno scambio di giochi: una macchinina dei pompieri con tanto di sirena e telecomandata, al posto della spada.

Pino esitava: quella spada era il dono chiesto e non gli sembrava opportuno fare uno scambio. No, sarebbe stata un’offesa, come a dire che preferiva l’altro gioco e Babbo Natale e i suoi genitori sarebbero stati amareggiati.

Un dono; questo sì, poteva essere fatto come gesto d’affetto e di amicizia per rendere felice un altro bambino. Era Natale e bisognava essere buoni.

Pino chiuse gli occhi e disse tra sé che donare era fare un “fioretto grosso” e chiese a Gesù in cambio del suo sacrificio che il padre tornasse al lavoro.

Felice prese la spada tra le mani, ma si rese ben presto conto che, senza l’amico, anche quella perdeva la sua magia e la sua attrattiva per cui si rivolse a Pino e gli disse che quello che contava era poterci giocare insieme e che lui ne avrebbe ordinata una ai suoi genitori.

Tuttavia una specie di miracolo si stava avverando, poiché Felice si stava avviando a capire che la felicità sta nelle cose più semplici e che non sono le cose a darci la felicità ma siamo noi a metterla nelle cose, se le guardiamo con gli occhi di chi sa gioire di averle.

Pino gli aveva regalato molto più di una spada di plastica: gli aveva regalato la sua amicizia, la sua voglia di vivere e il suo altruismo…

***

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