“Una mano nell’ombra”

di Silvana Tosatto

Nacque una mattina d’inverno inoltrato, già affacciato sulla primavera. La chiamarono Margherita.

Margherita giocava solitaria nei luoghi più impensati. Amava scovare angolini nascosti, talvolta in una polverosa soffitta, altre nella rimessa o, altre ancora, perfino nel pollaio, dove osservava i gesti e le abitudini delle galline. Un po’ la intimorivano quegli occhi rotondi e lo sguardo serio. Per non parlare del becco col quale non solo beccavano avidamente il mangime, ma lo utilizzavano anche in difesa del loro operato del giorno. Margherita amava scovare nel nido un uovo appena deposto, era una soddisfazione, quasi come trovare la sorpresa nell’uovo di Pasqua. Ma la gallina non pareva affatto felice di vederselo sottrarre, ancor prima di aver avuto il tempo di dargli almeno una covatina.

Ma si sa, il tempo passa e gli anni della spensieratezza volano via insieme ad esso. L’adolescenza di Margherita era, infatti, piena di ombre. I gesti consueti di quando era bambina ora non le appartenevano più. Davanti allo specchio della sua cameretta osservava il suo corpo cambiare. Si svegliò una mattina presto con un dolore pungente a livello del seno, solo a sinistra e si domandò cosa diavolo fosse a procurarle quel fastidio. Istintivamente si toccò la parte dolente e avvertì un piccolo rigonfiamento, una sorta di ghiandolina che pungeva al tatto e si intravedeva sotto la maglietta. Arrossì e si infilò una felpa larga per coprire quella sgradevole sensazione. Nei giorni che venirono la piccola ghiandola iniziò ad ingrossarsi e presto anche il seno destro diede segni di cambiamento. Margherita non sapeva se esserne felice o se vergognarsene. Comprese che stava crescendo e presto non avrebbe più potuto tenere nascosto il suo piccolo segreto. Tuttavia, il seno sinistro stava aumentando di volume molto più in fretta rispetto al destro e questo le creava un certo imbarazzo. Sua madre la guardava con dolcezza ma, comprendendo il suo impaccio, non aveva ancora osato parlare di questo argomento, finché un giorno le disse: “Margherita, ti va se oggi andiamo a fare shopping insieme? Stai crescendo, hai bisogno di vestiti nuovi e magari anche di un reggiseno, che ne dici?”

Lei, se avesse potuto, sarebbe sprofondata negli abissi più profondi. Si limitò a sbarrare gli occhi e poi girò sui tacchi e se ne tornò in camera sua sbattendo la porta.

“Margherita, su dai, non fare così! Credi che non mi sia accorta che stai crescendo? È normale a dodici anni, non essere imbarazzata!” disse sua madre rincorrendola.

Lei se ne stava buttata sul letto a pancia in giù con un fastidioso pizzicore al seno singhiozzando. Sua madre comprese che era giunto il momento di spiegarle alcune cose. Le raccontò di quando accadde a lei la stessa cosa da ragazzina, anche se, in un certo senso, lei era già preparata perché aveva una sorella più grande e quindi aveva potuto osservare in lei i cambiamenti. Margherita, invece, era figlia unica. Non che fosse totalmente all’oscuro di queste faccende, si sa i ragazzi di oggi sono molto svegli e comunque la sua amica era già piuttosto avanti con lo sviluppo, forse perché era un tantino più cicciottella e il seno le era già cresciuto da qualche mese. Ma chissà perché, si era fatta l’idea che in lei questa trasformazione non sarebbe avvenuta, o forse sì, ma tardi, molto tardi. Insomma l’aveva colta davvero di sorpresa e inoltre non si aspettava che sarebbe stata anche dolorosa.

Un giorno, giocando a pallone con i soliti amici, aveva ricevuto una pallonata proprio sul seno ed era rimasta a terra a piangere per il dolore. Paolo le aveva chiesto cosa avesse e perché facesse tutta quella sceneggiata per una pallonata nemmeno troppo forte. Lei non aveva voluto dare spiegazioni, se ne vergognava e, il giorno dopo, si era fasciata il seno con una benda elastica pensando di proteggersi e, nello stesso tempo, di non far trapelare i cambiamenti che stavano avvenendo nel suo corpo. Se almeno i suoi seni avessero avuto la stessa dimensione sarebbe stato diverso, ma ce n’era sempre uno che prevaleva sull’altro: davvero imbarazzante.

Venne il giorno in cui la sua amica Ambra annunciò di voler organizzare una festa per il suo tredicesimo compleanno. Insieme avevano organizzato tutto per divertirsi con i compagni di scuola, non tutti, solo quelli più simpatici. Di certo quella smorfiosa di Angela non l’avrebbero invitata, lei che, solo perché aveva una seconda di reggiseno, si credeva una miss e i ragazzi le sbavavano dietro, chissà perché … Comunque, i preparativi per la festa procedevano a gonfie vele nella tavernetta di Ambra. Avevano acquistato per lo più Coca-Cola e patatine ma poi ognuno avrebbe contribuito portando qualcosa da mangiare o da bere. Sarebbero stati in dodici. Ambra contava sulla presenza di Stefano, un ragazzo della seconda B che le piaceva da morire. Margherita invece non aveva in mente nessuno; finora le era interessato solo giocare a pallone coi ragazzi, amava la loro compagnia esattamente come se fosse uno di loro e, di certo, i suoi modi un po’ mascolini non suscitavano particolari attenzioni nell’altro sesso. Anche loro la vedevano per lo più come un compagno di giochi, il portiere migliore di tutti. Margherita avrebbe desiderato far parte di una squadra di calcio femminile, ma i suoi genitori erano molto più propensi a mandarla al corso di ginnastica artistica che frequentava ormai da anni. Riusciva bene in quella disciplina, ma le mancava quel tocco di grazia, diceva l’insegnante. Comunque, ora che il seno le stava crescendo, non le andava più di indossare il body aderente. Un giorno prese il coraggio di comunicare ai suoi genitori che non avrebbe più frequentato il corso e che il suo desiderio sarebbe stato quello di far parte della squadra di calcio. In casa accadde un putiferio: “Dopo tutti i soldi che abbiamo speso per te, il tempo impiegato per portarti a lezione e i sacrifici che tu stessa hai fatto per gli allenamenti, ora vorresti buttare anni di duro lavoro per una stupida squadra di calcio? Non se ne parla neanche, toglitelo dalla testa! – sentenziò sua madre – e poi non è uno sport da ragazze!”

Margherita reagì come sempre chiudendosi in camera sbattendo la porta, ma quella volta non avrebbe obbedito ai suoi genitori. Aveva pensato di recarsi al campo da calcio per assistere agli allenamenti e, di nascosto, aveva iniziato a prenderne parte. Venne il giorno in cui l’allenatore comunicò che sarebbe iniziato il campionato e Margherita sarebbe stata convocata nella formazione. Era un ottimo portiere e l’allenatore aveva notato in lei innate capacità.

“Domenica si inizia a giocare sul serio, Margherita, devi procurarti un paio di scarpe da calcio. Alla divisa pensiamo noi.” Aveva sentenziato l’allenatore.

“Ma coach, come faccio?… I miei genitori non sanno nulla!” Aveva dovuto confessare Margherita. Il giorno stesso il coatch si recò a casa sua a parlare con i genitori, evidenziando le grandi capacità della loro figlia e la naturale predisposizione per questo ruolo. Alla fine dovettero arrendersi e accettare il fatto.

Il compleanno di Ambra sarebbe stato l’indomani e così lei e la sua amica si trovarono per gli ultimi dettagli: palloncini, luci colorate e soprattutto dovevano scegliere la musica. Quella sera avrebbero avuto il permesso di rincasare alle 23:00, cosicché per le 20:30 c’erano già tutti gli invitati. Ambra aveva indossato un vestito nuovo che le stava a pennello, decisa a conquistare il cuore di Stefano. Margherita, invece, non si separava mai da suoi jeans e quella sera indossava una felpa con cappuccio di una taglia in più, tanto per tenere al sicuro da sguardi indiscreti quel seno che ormai riempiva già la prima taglia. Ora la situazione sembrava essersi un po’ normalizzata e entrambi i seni erano proporzionati. Nel pomeriggio aveva anche provato a indossare una maglietta scollata e, davanti allo specchio, provava le pose come una modella sul set: “Ma che cavolo sto facendo?” Si rimproverò da sola. “Mi faccio schifo!”.

Non lo voleva un corpo femminile, non voleva le forme e il vitino da vespa e neppure quelle natiche arrotondate. Perché non era nata maschio? Presto le sarebbe venuto pure il ciclo, le aveva anticipato sua madre. Ci mancava solo la scocciatura del mal di pancia e dell’assorbente. Come avrebbe fatto a giocare a calcio? Presa dalla rabbia si rasò i capelli ai lati del capo lasciandosi solo un lungo ciuffo sulla fronte. Quando la vide sua madre le prese un colpo. Non sapeva che avrebbe ancora dovuto vederne delle belle. L’adolescenza non sarebbe stata un passaggio semplice, non lo era per nessuno, ma per lei ancora meno.

“Che hai fatto ai capelli?” Esclamò Ambra scioccata appena la vide alla sua festa. “Così sembri un maschio!”

“Meglio!” Disse Margherita “Invece tu mi sembri un confetto con ‘sto vestito addosso, ti sei vista?”

Ambra rimase molto male per quell’osservazione: “Che cavolo hai stasera? Sarai mica mestruata?” Le disse bruscamente.

“Va beh, continua pure con le stronzate!” Rispose Margherita adirata. “Felice compleanno. Io me ne vado!”

“Marghe… vieni qui. Ma cosa ti è preso? Scusa, non volevo offenderti, è che non sono abituata a vederti con i capelli rasati. Non stai male, è che… ci devo fare l’occhio”.

Lei rimase ancora risentita per un po’, poi non resistette a lungo. Voleva molto bene alla sua amica, molto di più di quanto lei pensasse e in un modo che… forse non era neppure quello giusto. Si abbracciarono teneramente e Margherita non avrebbe più voluto staccarsi da lei.

Perché la sua vita era sempre piena di ombre? Perché si sentiva perseguitata dai cattivi pensieri e dai sensi di colpa? E quale colpa aveva? Forse quella di aver finalmente compreso che non le interessavano per niente i ragazzi, se non per giocarci a pallone? Lei amava le labbra di Ambra e anche i suoi fianchi un po’ arrotondati, inoltre trovava i suoi capelli scuri meravigliosi. A volte, quando da amiche avevano dormito insieme, erano rimaste abbracciate nel sonno e i loro respiri si erano alternati e confusi. Nel sonno si erano tenute per mano in alcuni momenti della notte e forse questo era normale tra amiche, ma per Margherita non finiva lì. Immaginava loro due da grandi condividere la stessa casa, fare insieme la spesa, cenare sul divano, salutarsi con un bacio vero prima di andare al lavoro. Sì, lei desiderava tutto questo… aveva combattuto con questi sentimenti, aveva cercato di immaginarsi in una famiglia vera, come la sua, ma non riusciva a vedere accanto a sé una figura maschile. “Forse sono ancora piccola” pensava “forse il sesso non mi interessa perché non è ancora il momento giusto”. Ma sapeva che non era così, sapeva che cosa fosse l’attrazione per una persona, lo sapeva ogni volta che osservava Ambra parlare e avrebbe desiderato riempire di baci la sua bocca. Una volta, per scherzo, si erano baciate. Era stato per penitenza in un gioco tra amici. Ambra si era subito asciugata le labbra con il dorso della mano con un atteggiamento di ribrezzo e poi era scoppiata a ridere. Invece a lei era piaciuto, aveva sentito il sapore del suo burrocacao e se l’era conservato per tutto il giorno in qualche modo. Ovviamente non lo aveva confidato neppure alla sua migliore amica e la notte aveva pianto pensando di essere sbagliata.

Era nata in un giorno d’inverno, quando le ombre sono lunghe quasi come fosse sempre sera. Le ombre erano parte di lei, del suo carattere e dei suoi pensieri. Erano la proiezione del suo essere ma spesso bugiarde e accusatorie. Quanti inverni avrebbe dovuto ancora affrontare? Quanto freddo nel cuore?

Chissà se un giorno Ambra si sarebbe accorta di lei… non quel giorno di certo, non quando aveva occhi che per Stefano. Margherita se ne stava seduta a mangiare patatine mentre la sua amica si stava godendo un lento un po’ impacciato con il suo ragazzo preferito.

Qualcuno le porse una Coca-Cola… “Ciao, ti stai annoiando? Io da morire!” Rise Martina, una biondina con gli occhi verdi.

“Un po’…” ammise Margherita distogliendo lo sguardo da quella scena sdolcinata di Ambra tra le braccia di Stefano.

“Tu non balli?” Disse Martina.

“Ehm.. no, non mi interessa il genere…” sentenziò Margherita.

“Intendevo… con me, se ti va.”.

Margherita ci pensò un attimo, gettò ancora uno sguardo verso Ambra che ora sembrava perfettamente a suo agio avvinghiata in quel lento.

“Sì… perché no?” Rispose senza pensarci troppo.

La luce alle loro spalle proiettava ombre, ancora ombre, lunghe e scure. Margherita scacciò i brutti pensieri. Per la prima volta, la sua ombra l’aveva presa per mano.

***

Se vuoi leggere altri componimenti relativi a questa Silloge, clicca sul link: Silloge #Ombra

Una mano nell’ombra – Silvana Tosatto – (Concorso Letterario #Ombra) – Lettera32 il Blog
“Una mano nell’ombra”
Tags:             

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *