di Silvia Oppezzo
Abbiamo deciso di pubblicare, sempre per festeggiare la Festa della Mamma, anche il breve racconto di Silvia Oppezzo. Testo che, nel raccontare uno spaccato di vita legato alla guerra, ci fornisce uno spiraglio di speranza, in grado di cancellare la devastazione della crudeltà umana, con la luce della nascita della vita che tutto illumina.
“Eccomi, sono arrivata! Io atterro qui” annunciò la cicogna Bianca. ”Buon viaggio! Ti manca molto?”
L’amica Cenerina la guardò incredula. ”Qui??! Sei sicura??!”
“Certo! È questa la meta segnata sulla mia mappa: Kiev!”
“Ma sei impazzita?! Non ti rendi conto del pericolo? Non senti questi botti?! Non vedi il fumo nero? Non è un temporale! Sono spari, è la guerra!”
“Attraverserò la guerra come si attraversa un temporale. Guarda questa bimba, com’è cresciuta. Tra poco non riuscirò più a trasportarla. E come si agita! È impaziente di nascere.”
“Ma non qui! Resisti ancora un poco. Pochi chilometri, troverai territori di pace. E troverai qualche famiglia disposta ad accoglierla.”
“Ma non sarebbe la sua! I suoi genitori la aspettano da mesi!”
“Prima della guerra. Ma sei sicura che la vogliano ancora? Come potranno allevarla, nutrirla, crescerla in queste condizioni? Che futuro le offrirebbero? E lei, che idea si farebbe della vita? Che è tutto male, odio, pericolo, dolore?”
“Ho fiducia in loro: le daranno amore. Questo basta. E col tempo la educheranno a scoprire le bellezze della vita. Anche nelle situazioni più disastrate, i figli sono sempre stati un bene per i genitori e per chi li accoglie. Sarà così anche stavolta, credimi!”
“Sei proprio decisa… Buona fortuna, allora!”
Kiev. Nella stazione della metro, tra urla di paura, tuoni delle bombe, allarmi antiaerei si udì un grido. Diverso, di dolore e gioia insieme. E poi un pianto. Diverso: il vagito di una bimba. Incurante della guerra che infuriava intorno, la MAMMA le sorrise, la prese in braccio, la cullò, canticchiò, la allattò.
“Ti chiamerò Mia, perché mi sei stata data nonostante la guerra e ti terrò per volerti bene sempre. Ti chiamerò Mia anche se sei di tutti: sarai per tutti un messaggio di speranza.”
L’avevo incontrata dopo tempo che non la vedevo più passeggiare lungo il viale che porta alla piazza principale del paese.
Sapevo che era stata ricoverata per un sospetto tumore al seno.
La vidi venirmi incontro radiosa, con un foulard di seta avvolto intorno al capo a mo’ di turbante. Le sue solite ballerine ai piedi che il pancione non oscurava e l’abito verde acqua in mussola di cotone che, morbido sui fianchi, accresceva quella tenerezza che le si leggeva sul bel viso.
“ Ciaooo! Aspetto un bambino e sono molto felicee…” mi disse con un sorriso disarmante, conoscendo entrambe le sue condizioni di salute.
Ero imbarazzata e non trovavo le parole giuste per congratularmi e chiedere al contempo come stesse.
Mi ricordo che balbettai una frase, forse banale, ma autentica.
“ Essere madre è una bellissimo dono, un miracolo! ” e l’abbracciai, senza stringerla troppo. Ci promettemmo che avremmo fatto giocare insieme i nostri figli coetanei, mentre noi avremmo avuto il tempo di raccontarci di noi, dei viaggi da intraprendere insieme, delle feste di compleanno che avremmo organizzato.
Non ci fu il tempo, perché lei morì prima che il bambino compisse il suo primo anno di vita.
Quella mia amica, mamma generosa, aveva interrotto e rifiutato le cure oncologiche dal momento in cui aveva appreso della gravidanza.
Non voleva danneggiare il feto, né il neonato.
Aveva sacrificato la propria vita per quella sana del figlio.
Gli lasciò un diario con una poesia per ogni suo compleanno fino al compimento della maggiore età.
Ora quel bimbo è cresciuto e diventato un cantautore; inizia sempre le sue esibizioni con i versi della madre.